Negli ultimi mesi Google ha compiuto un passo significativo nel rendere lo sviluppo software sempre più accessibile. Con l’integrazione di Opal all’interno di Gemini, creare applicazioni basate su AI diventa possibile anche senza competenze di programmazione tradizionali. Ma la vera notizia non è lo strumento in sé. È il messaggio che porta con sé: sviluppare non è più un’attività riservata a chi scrive codice, bensì a chi sa progettare logiche, flussi e obiettivi.
Opal nasce come strumento sperimentale per costruire piccole applicazioni AI partendo da istruzioni in linguaggio naturale. Con il suo ingresso diretto nell’interfaccia web di Gemini, questo approccio viene portato al centro dell’esperienza Google. All’interno dei Gems, le versioni personalizzate di Gemini pensate per compiti specifici, Opal permette di trasformare un’idea in una struttura operativa. Non più solo risposte, ma comportamenti, processi, micro-app. È un cambio di paradigma: l’AI non si limita a supportare l’utente, ma diventa materia prima per costruire sistemi.
La logica prima del codice
Il punto di forza di Opal non è la promessa del “zero codice”, ma la possibilità di rendere visibile il ragionamento dietro un’applicazione. Attraverso un editor visuale, ogni istruzione viene scomposta in passaggi chiari:
- cosa succede
- in quale ordine
- con quali dipendenze
- e con quale risultato atteso
Questo consente di intervenire sulla struttura, modificare i flussi, riutilizzare parti già costruite. Il codice, quando c’è, è una conseguenza. Non il punto di partenza.
Un segnale chiaro dal mercato
Google non è sola in questa direzione. Strumenti come Cursor, Lovable, Replit o le soluzioni proposte dai principali player dell’AI stanno spingendo verso lo stesso obiettivo: ridurre la distanza tra idea e implementazione. Il cosiddetto vibe coding si sta affermando come una nuova modalità di lavoro: rapida, intuitiva, iterativa. Ma proprio per questo, più fragile se non governata. Perché se tutto diventa facile da costruire, diventa anche facile costruire male.
La posizione di Ncode Studio: il vibe coding ha bisogno di metodo
In Ncode Studio non vediamo il vibe coding come una moda o una scorciatoia. Lo consideriamo un acceleratore, che funziona solo se inserito in un disegno più ampio.
L’AI può generare soluzioni. Ma non conosce:
- le priorità di un’azienda
- i vincoli di un processo
- gli impatti organizzativi
- il valore reale per chi utilizzerà quel sistema
Per questo, il nostro approccio parte sempre da:
- analisi dei flussi
- ingegnerizzazione dei processi
- definizione degli obiettivi
- integrazione dell’AI solo dove crea vantaggio
Il vibe coding, senza guida, produce velocità. Con una strategia, produce sistemi sostenibili, scalabili e sicuri.
Oltre il no code: progettare, non solo costruire
Quello che stiamo vivendo non è la fine dello sviluppo tradizionale, ma un suo spostamento. Dalla scrittura del codice alla progettazione delle logiche. Dall’esecuzione alla responsabilità delle scelte. Il futuro non appartiene a chi usa più tool. Ma a chi sa decidere cosa costruire, perché e con quali regole. Ed è lì che, per Ncode, il vibe coding trova davvero il suo senso.
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